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Hunting for glory: intervista a Freddie Hunt

Non saranno due gocce d’acqua, però tante cose di Freddie ricordano il padre James. Stiamo parlando della dinastia Hunt, la famiglia inglese che ha visto James vincere un titolo mondiale di Formula 1 nel 1976. E Kerb Motori ha incontrato il figlio 28enne e quando lo vedi, con la tuta rossa, abbassata, a torso nudo, proprio come faceva suo padre nel paddock, la somiglianza è veramente impressionante. Freddie ovviamente ci gioca, I play, dice lui. Fa parte del suo ruolo. E l’incontro non poteva che essere in pista: negli Stati Uniti, sul circuito Virginia International Raceway, in occasione del quarto round del Maserati Trofeo World Series.
L’inglesino sta seguendo le orme del padre, ma predilige le GT alle monoposto. Oltre ai motori ha la passione per i cavalli e per il polo che ha conosciuto negli anni vissuti a Buenos Aires in Argentina.
A differenza del padre, Freddie, non ha mai pensato ad una vera carriera come pilota e a suo dire, non ha la minima intenzione id farlo. A mancargli non è certo il talento, che, anzi, ha dimostrato subito in pista: al debutto al volante della Maserati GranTurismo MC Trofeo è subito stato il più veloce nelle libere 1, stabilendo la pole position e il best lap in gara 2. La classe non è acqua, come si suol dire. Solo il guasto al cambio gli ha tolto la gioia di una vittoria.
La sua celebrità è cresciuta (o comunque si è tornati a parlare della famiglia Hunt) nel 2014 dopo l’uscita del film Rush di Ron Howard, che ha raccontato il duello in Formula 1 tra il padre e Niki Lauda.

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Cosa ne pensi della pellicola?

“Un buon film, fantastica la fotografia, grande recitazione di Daniel Bruhl che ha interpretato Lauda, ma sfortunatamente non penso che Chirs Hemsworth abbia fatto lo stesso ottimo lavoro, perché la figura che è emersa di mio padre è quello di un uomo piuttosto arrogante. Non ha neppure provato a contattare la mia famiglia per saperne di più sul carattere. Anche la sceneggiatura non rispecchia fedelmente la realtà delle cose. Ho ricordi di mio padre di quando ero piccolo e posso dire che non era assolutamente arrogante”.

Che effetto ti fa portare il cognome Hunt?

“E’ molto importante avere il suo cognome. E’ la mia storia, è tutto. Quando ho iniziato a correre mi ha portato ad avere addosso tanta pressione, ma poi mi ci sono abituato”.

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Hai disputato varie gare ma non hai mai intrapreso una carriera nel motosport. Come mai?

“Forse non ho iniziato a correre perché mio padre è morto molto giovane e nessuno mi ha introdotto in questo sport. Mia madre faceva equitazione e così all’età di 13 anni ho iniziato a praticare il polo, in Argentina. Ho guidato in pista per la prima volta solo all’età di 18 anni”.

Il tuo sogno non è correre in F1 ma vincere a Le Mans, pensi riuscirai a raggiungere il tuo obiettivo?

“Non dico che sia il sogno della mia vita, da quando ero bambino, ma è il mio obiettivo ora. Credo che possa essere la scelta migliore nel mondo delle corse. Il mio sogno è quello di avere una riserva di animali selvatici in Africa, ma credo che sia un obiettivo ancora distante, per quando mi ritirerò. Per questo motivo sento il bisogno di vincere a Le Mans, ma prima devo fare abbastanza soldi così posso andare in pensione il prima possibile. Spero che questo accada prima dei 45 anni e quindi comprare la terra e nascondermi lontano dal mondo”.

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© silverstoneclassic.com

Come ti definiresti? Alcuni dicono che sei un irruento e un playboy. Sei d’accordo?

“Credo di essere un bravo ragazzo e so di essere una persona onesta. Non dico mai bugie o prendo in giro la gente. Quando ero piccolo mi chiamavano Fearless Fred, quindi potrei definirmi come uno scavezzacollo. Forse anche un pochino playboy: mi piace divertirmi. Faccio che quello che voglio e quando lo voglio fare, a patto di non arrecare problemi agli altri”.

Filippo Ghialamberti

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